L’ingegno umano si è particolarmente applicato, sin dagli albori dei tempi, a tutto ciò che riguarda il mondo dell’alimentazione. E proprio a questo lavorìo dell’ingegno sulle ‘questioni gastronomiche’ oggi rendiamo omaggio raccontando di uno dei frutti in assoluto meno pratici di tale lavorìo, ma sicuramente tra i più belli.
Scriviamo di una rapida immagine, un delicato bozzetto poetico, presente nel X libro dell’Odissea. È la descrizione di un banchetto in cui si imbatte Ulisse, protagonista dell’opera, nel suo lungo viaggio di ritorno verso la propria patria, Itaca, dopo la battaglia vinta dai greci contro la città di Troia.
Non un banchetto qualsiasi, un banchetto divino.
Dobbiamo, se vogliamo seguire il poeta Omero (tradizionalmente considerato l’autore dell’Odissea [https://it.wikipedia.org/wiki/Questione_omerica]), provare ad immaginare il grande navigatore Ulisse ed il suo equipaggio nuovamente in mare alla ricerca della giusta rotta verso casa dopo aver corso un rischio non da poco, esser sbranati dal ciclope Polifemo, mostruoso gigante con un solo occhio.
Dopo aver schivato l’ira ciclopica, Ulisse approda in un’isola di gran lunga più accogliente rispetto alla precedente. È l’isola del dio Eolo.
Ulisse e i suoi si approssimano al palazzo. Il dio appare agli affaticati navigatori seduto a tavola, assieme alla moglie e ai figli, ben dodici, sei maschi e sei femmine.
Ecco i versi che raccontano del banchetto, tradotti a beneficio di tutti da Ippolito Pindemonte nel diciannovesimo secolo:
Costoro [i figli, n.d.r.] ciascun dì siedon tra il padre
Caro, e l’augusta madre, ad una mensa
Di varie carca dilicate dapi.
Tutto il palagio, finchè il giorno splende,
Spira fragranze, e d’armonie risuona.
Dapi è plurale di dape, forma poetica per cibo o vivanda. Eolo e famiglia dunque ogni giorno fino a sera banchettano ad una mensa ricca di variegate e delicate vivande.
Non ci soffermiamo sulla bellezza dei versi ma sulle caratteristiche del banchetto e, prima fra tutte, sull’insolita durata. Il banchetto è infatti praticamente infinito, si interrompe solo a sera e ricomincia il giorno successivo.
Ben si comprende che esso debba essere assai speciale per non annoiare i commensali. Ed il poeta in pochi versi non manca di sottolinearne la superba qualità. Fragranze e armonie si spandono costantemente per tutto il palazzo che immaginiamo, datone il proprietario, più che regale.
Potremmo dire che Omero ci insegna in poche righe come preparare un pasto davvero speciale. Gli ingredienti sono semplici, quantomeno a dirsi: cucina prelibata, portate variegate, location d’eccezione, aromi invitanti, una generale atmosfera di eleganza ma anche ‘di famiglia’.
Questa breve scena può essere considerata una sorta di buon auspicio per tutti i ristoratori.
Eolo, insomma, è un padrone di casa d’eccezione. Racconta infatti il poeta che il dio dei venti accolse con grande magnanimità il proprio ospite:
Questo il paese fu, questo il superbo
Tetto, in cui me per un intero mese
Co’ modi più gentili Eolo trattava.
Per di più, Eolo regala ad Ulisse anche un otre contenente i vari venti, sufficienti a riportare in patria l’eroe omerico e tutto l’equipaggio. Un dono prezioso che, questo sì, proprio non possiamo chiedere ai moderni ristoratori.
Tutto sembrerebbe volgere per il meglio se non che – sciagurato – Ulisse una volta partito viene colto da un sonno profondo che gli fa trascurare il proprio compito di custode del prezioso dono. Anche un regalo di tal fatta può essere rovinato da mani incaute. I marinai infatti, credendo che l’otre contenesse oro e argento, aprono senza cura e anzitempo il regalo.
Proviamo ad immaginare la scena burrascosa: i venti si scatenano tutti assieme, facendo infuriare il mare e spingendo l’imbarcazione per rotte casuali proprio quando la tanto desiderata Itaca era ormai vicina.
La nave di Ulisse sferzata dal vento approda nuovamente nell’isola di Eolo da cui era da poco salpata. Ulisse si fa coraggio e nuovamente si presenta al cospetto del dio. Trova Eolo ancora impegnato, naturalmente, a banchettare:
M’inviai d’Eolo alla magion superba;
E tra la dolce sposa, e i figli cari
Banchettante il trovai.
Ma questa volta il dio, arrabbiato dal cattivo uso che Ulisse ha fatto del proprio dono, è meno cortese e, con gran disagio per Ulisse ma gran vantaggio per la trama, scaccia dalla propria isola i viaggiatori, in questa occasione più stolti che sfortunati.
Approderanno prima nella città dei Lestrigoni, da cui torneranno in pochi, e poi dalla maga Circe, che ben peggiore banchetto apparecchierà ai nostri prodi.
Ma questa è un’altra storia….